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Fratture e svolte nelle narrazioni di adolescenti immigrati

Autore(i):Marilena Tettamanzi – Fabio Sbattella – Cristina Castelli – Università Cattolica Del Sacro Cuore – Milano

Il nostro Paese si trova quotidianamente ad affrontare il fenomeno dell’immigrazione extra-comunitaria, il quale coinvolge in misura sempre maggiore anche bambini ed adolescenti. Questi ultimi spesso vivono consistenti difficoltà nell’incontro con la nostra cultura, soprattutto in seguito alla necessità di dover coordinare ed integrare il proprio senso di appartenenza etnica con il modello di vita proposto dal paese d’accoglienza. Tali difficoltà rischiano spesso di essere misconosciute dagli stessi familiari dei ragazzi e da chi nel paese d’arrivo intende occuparsi di loro. La presenza sempre più consistente di minori immigrati in Italia pone la necessità di fermarsi a riflettere sulla condizione di questi ultimi e sulle variabili psicologiche implicate nel processo di integrazione culturale di bambini ed adolescenti.

Il nostro Paese si trova quotidianamente ad affrontare il fenomeno dell’immigrazione extra-comunitaria, il quale coinvolge in misura sempre maggiore anche bambini ed adolescenti. Questi ultimi spesso vivono consistenti difficoltà nell’incontro con la nostra cultura, soprattutto in seguito alla necessità di dover coordinare ed integrare il proprio senso di appartenenza etnica con il modello di vita proposto dal paese d’accoglienza. Tali difficoltà rischiano spesso di essere misconosciute dagli stessi familiari dei ragazzi e da chi nel paese d’arrivo intende occuparsi di loro.

La presenza sempre più consistente di minori immigrati in Italia pone la necessità di fermarsi a riflettere sulla condizione di questi ultimi e sulle variabili psicologiche implicate nel processo di integrazione culturale di bambini ed adolescenti.

1. Il fenomeno: minori immigrati in Italia e a Milano

Il rapporto ISTAT del 2000, benché faccia riferimento solo ai cittadini stranieri aventi permesso di soggiorno, non contemplando quindi l’ampia fetta di stranieri irregolari, ha evidenziato che sul totale della popolazione straniera censita, i minorenni rappresentano la componente più dinamica e con la crescita più rapida. L’incremento della popolazione minorenne straniera dal 1999 al 2000 è stato, infatti, pari al 23%.

Il Comitato per i Minori Stranieri[1], che dal 1994 si occupa dell’accoglienza temporanea in Italia e del rimpatrio assistito di minori stranieri non accompagnati provenienti da paesi in situazioni di difficoltà, ha segnalato la presenza di 14.834 minori al 30 novembre 2001. Di questi il 61% sono di nazionalità albanese, il 17,4% marocchina, il 7,3% rumena, mentre il 3,8% provengono dalla ex Jugoslavia. Le restanti nazionalità hanno una presenza inferiore al 2% (Olivero, 2003).

La variabile relativa al paese d’origine va considerata con particolare attenzione. Dal punto di vista della Psicologia Culturale (Smorti, 2003; Anolli, 2004) lo specifico contesto culturale di appartenenza influenza usi e costumi, ma anche le modalità di leggere ed affrontare la realtà, il significato attribuito alle esperienze relazionali, il modo di rapportarsi all’altro, sia esso adulto o minore, nonché le pratiche educative adottate.

Il paese d’origine, inoltre, influenza la stessa storia migratoria e le modalità con cui essa viene vissuta. Molti genitori filippini, per esempio, sono emigrati in Italia in cerca di lavoro, con il progetto iniziale di tornare nel proprio paese una volta accumulati soldi sufficienti. Per questa ragione e per l’estrema fiducia che nutrono nei confronti del sistema scolastico filippino, questi genitori hanno spesso deciso di lasciare i propri figli nel paese d’origine. Recentemente, tuttavia, la comunità filippina in Italia è stata caratterizzata da un processo di stabilizzazione, in seguito al quale i genitori hanno spesso deciso di tenere in Italia i figli nati qui e di far giungere presso di loro anche i figli che avevano lasciato nelle Filippine (Demetrio, Favaro, 1997). Ciò ha portato questi minori a doversi non solo integrare in una cultura diversa dalla propria, ma anche instaurare un rapporto con una famiglia diventata in parte estranea. I ragazzi provenienti dall’Africa Settentrionale hanno in comune due fondamentali elementi culturali del proprio paese d’origine: l’Islam come appartenenza religiosa e la conoscenza dell’arabo classico come sistema linguistico comune (Tosi, 2003). Si tratta di minori che giungono in Italia a seguito del ricongiungimento familiare, ma anche frequentemente da soli, per propria scelta o per decisione dei genitori.
I bambini e gli adolescenti dell’America Latina arrivano in Italia prevalentemente per ricongiungersi con la madre, giunta qui per prima, per permettere in seguito l’ingresso nel nostro paese dei figli, dei mariti e dei parenti maschi. Si tratta di ragazzi che parlano e che scrivono lo spagnolo e presentano maggior facilità nell’apprendimento della lingua italiana. Come per i minori filippini si pone, però, per essi la necessità di imparare a conoscere una madre almeno inizialmente vissuta come estranea.

Molti sono i minori provenienti dall’Albania. Sono prevalentemente ragazzi di età compresa tra i dieci e i sedici anni, che spesso giungono in Italia da soli, senza genitori oppure con l’obiettivo di ricongiungersi con il padre o con fratelli già qui per lavoro (Olivero, 2003).

Particolare è, poi, la condizione dei minori accolti come rifugiati. Presentano storie di fughe e violenze nel proprio paese e giungono in Italia a seguito di lunghe peregrinazioni, da soli, con la madre e i fratelli o a volte con l’intera famiglia.

Il 2,6% dei minori ha da zero a sei anni, il 16,8% da sette a tredici anni, il 42,1% quattordici anni, il 12,7% e il 25,8% rispettivamente quindici e sedici anni (ibidem).

A livello nazionale (Olivero, 2003) si evidenzia una netta prevalenza di maschi (86%) rispetto alle femmine (14%). Tale rapporto risulta più omogeneo nel capoluogo lombardo: tra i minori stranieri registrati, 1.153 sono i maschi e 1.110 le femmine (Favaro, 1990).

Per meglio comprendere il fenomeno e le sue differenti sfaccettature risulta opportuno suddividere i minori immigrati in Italia in due ulteriori grandi categorie: da una parte coloro che giungono e vivono con la propria famiglia o parte di essa e, dall’altra, quelli che arrivano da soli per propria scelta o per decisione dei genitori. Nel primo caso questi ragazzi si trovano di fronte alla necessità di mediare tra la cultura propria del contesto familiare e quella del paese di accoglienza, con le possibili conseguenti difficoltà relazionali in entrambi gli ambiti e la necessità di trovare un’integrazione. I minori che giungono da soli, al contrario, sono costretti a confrontarsi con le sfide della vita per poter sopravvivere, cercando di trovare una mediazione tra il bisogno di mantenere un senso di lealtà verso la propria appartenenza etnica e la necessità di integrarsi nel nuovo contesto culturale. Molti di questi ragazzi trovano nelle comunità di accoglienza un punto di riferimento per orientarsi e formarsi, benché a volte instaurino con esse relazioni di tipo conflittuale.

2. Minori immigrati: la risposta del paese d’accoglienza

La presenza dei minori nei recenti flussi migratori conferma che l’immigrazione ha assunto una nuova forma più indirizzata, rispetto al passato, verso la stabilizzazione e l’inserimento definitivo nel paese d’accoglienza. Ciò fa sì che le famiglie e, in genere, i minori immigrati si trovino ad usufruire dei servizi educativi, sanitari, sociali e per il tempo libero. Ciò pone la necessità di confrontarsi direttamente e attivamente con il paese di accoglienza (Favaro, 1990).

La maggior stabilità del migrante chiama anche il paese d’accoglienza a far fronte a nuove richieste, ad individuare adeguate modalità di risposta ai bisogni espressi soprattutto dai minori, bisogni spesso di difficile comprensione se non si è in grado di decentrarsi dal proprio punto di vista e leggere comportamenti e richieste alla luce della specifica cultura di appartenenza. La stessa società di accoglienza si trova di fronte alla necessità di interrogarsi su come affrontare il fenomeno e su come mediare tra rispetto delle differenze culturali, integrazione e richiesta di rispetto nei confronti della cultura del paese ospite.

Con la legge n. 39 del 1990 furono gettate le basi per una politica complessiva dell’immigrazione, stabilendo il principio della programmazione dei flussi migratori e le procedure amministrative d’ingresso e soggiorno in Italia. Le successive leggi di modifica, fino alla legge Bossi-Fini, n. 189 del 30 luglio 2002, propongono un modello di integrazione sociale dello straniero, assicurando maggiori garanzie per la tutela ed il sostegno del minore, rispettandone la personalità ed i diritti.

In Italia, durante i primi anni Novanta, ha fatto il suo ingresso la così detta pedagogia interculturale (Santerini, 2001), un approccio multi-etnico alla scuola, che propone un intervento su due fronti distinti ma complementari: il versante della riuscita scolastica e quello dell’integrazione culturale e sociale con i compagni e gli insegnanti (Demetrio, Favaro, 1992). Essa sottolinea il ruolo che la scuola dovrebbe assumere nel difficile compito di educare alla “mondialità”, all’integrazione, attraverso il riconoscimento che questa soluzione non penalizza e non toglie nulla a nessuna delle due culture, ma al contrario valorizza e arricchisce entrambe di nuovi elementi.

Gli insegnanti, tuttavia, si trovano spesso in difficoltà nel perseguire tali obiettivi, a causa della mancanza di punti di riferimento organizzativi e didattici e di una specifica formazione.

I tempi serrati della scuola, la necessità di seguire il programma, di verificare gli apprendimenti e di rispondere alle differenti esigenze dei propri alunni, rende problematico per molti insegnanti gestire le difficoltà che incontrano in contesto scolastico i giovani immigrati. I loro insuccessi vengono spesso letti in termini di difficoltà linguistiche; la loro lentezza e l’impossibilità spesso di disporre di mediatori culturali determinano un senso di frustrazione negli insegnanti stessi. Le assenze scolastiche non vengono comprese e attribuite a trascuratezza, negligenza o a vera e propria devianza.

In simili condizioni rimane poco tempo per riflettere sulla diversità culturale e per la comprensione del punto di vista altrui. Queste considerazioni ci portano a sottolineare l’importanza di riconoscere gli aspetti psicologici che accompagnano il contatto degli adolescenti immigrati con un nuovo contesto culturale. Solo a partire da un’attenta riflessione e considerazione di queste dimensioni è possibile ipotizzare intereventi in grado di favorire l’integrazione ed il confronto.

3. Identità personale ed etnica negli adolescenti immigrati

In questo lavoro intendiamo focalizzare l’attenzione sui ragazzi immigrati di prima generazione, che giungono in un paese straniero con la famiglia o da soli. L’ipotesi che ci guida è che essi incontrino durante l’adolescenza significative difficoltà nel ricostruire un senso unitario di sé, legate al conflitto tra la propria cultura d’origine e quella del nuovo paese, oltre che alle caratteristiche tipiche di questa specifica fase evolutiva.

Gli adolescenti immigrati si trovano ad affrontare una duplice difficoltà nella costruzione narrativa di un senso di sé: le difficoltà legate alla tipica crisi adolescenziale (Maggiolini, Pietropolli Charmet, 2004), cui si aggiungono quelle derivanti da una storia divisa tra due culture. Essi devono ricucire due mondi separati. Le loro storie mantengono un legame con il passato, ma a causa della necessità di adattarsi ad un nuovo contesto culturale si trovano a vivere “sospesi tra due mondi e due culture” (Moro, 2001; Blangiardo, 2003).

La migrazione non è semplicemente lo spostamento geografico da un luogo all’altro: rappresenta un cambiamento profondo, che richiede la ridefinizione dei legami di filiazione, di appartenenza e di fedeltà. Ciò induce spesso sentimenti ambivalenti di perdita e separazione che influenzano l’immagine di sé, il rapporto con il paese di accoglienza e con la propria cultura di appartenenza (Demetrio, Favaro, 1997).

Il sentimento di identità è un bisogno psichico fondamentale prodotto dall’interazione del soggetto con il mondo a partire dai primi giorni di vita. L’esperienza migratoria mette in crisi il senso di identità costituito o in formazione, poiché determina il passaggio da una situazione di condivisione dei codici simbolici e culturali ad una situazione di estraneità dovuta al confronto con una realtà nuova e sconosciuta. Questa esperienza chiama in gioco la ridefinizione della stessa identità etnica dell’individuo, intesa da Tajfel (1981) come la parte dell’immagine di sé derivante dalla consapevolezza di essere un membro di una data etnia, unita al valore e al significato emotivo che tale appartenenza rappresenta. A differenza dei coetanei italiani, agli adolescenti immigrati che vivono in Italia non è concessa la possibilità di avere un’unica identità etnica, poiché l’esperienza migratoria rappresenta per essi un elemento di lacerazione identitaria (Epstein, 1983). Oltre al complesso compito di ridefinire la propria identità in relazione alle trasformazioni corporee, sessuali e cognitive, l’adolescente immigrato si trova di fronte alla necessità di rinegoziare la propria identità etnica e il proprio senso di appartenenza culturale.
Sulla base di ricerche condotte su giovani immigrati di seconda generazione (Magistrali et al., 1999) sono state individuate quattro possibili soluzioni al processo di identificazione etnica.

Un primo modo di affrontare il conflitto è quello di mantenere una separazione: il ragazzo fa riferimento solo alla cultura e all’identità etnica originaria, mantenendone la lingua, gli usi ed i costumi.

All’estremo opposto egli può evidenziare una tendenza all’assimilazione della cultura del paese d’accoglienza, rifiutando ciò che appartiene alla cultura d’origine.

La terza soluzione è definita di marginalità. In questo caso il giovane si mantiene ai margini della cultura d’origine così come di quella d’arrivo, sentendo di non appartenere a nessuna delle due realtà (Lutte, 1987).

La quarta soluzione è quella della doppia eticità o biculturalismo. Attraverso un lento e profondo lavoro analitico, l’identità viene formata a seguito del continuo confronto tra i due mondi. In questo modo il soggetto riesce a costruire un senso di identità armonico, integrando i due universi culturali con cui entra in contatto (Di Maria, Lo Coco, 2002). Quest’ultima è considerata la soluzione più adattiva, benché il suo raggiungimento richieda un percorso lungo e difficoltoso.

Quando facciamo riferimento ad adolescenti immigrati di prima generazione, soprattutto se giunti senza genitori, questo processo di ricostruzione dell’identità può assumere aspetti più complessi e sottili, poiché l’unico garante della continuità della cultura di appartenenza è il soggetto stesso che conserva dentro di sé valori e principi. Questi ragazzi si trovano a dover intraprendere un cammino difficoltoso, non solo per i problemi pratici e concreti posti dalla loro condizione, ma anche per la necessità di dover elaborare un nuovo senso di identità in una fase della vita in cui tale compito risulta estremamente complesso. Per risolvere la conflittualità molti di essi scelgono di scotomizzare completamente il proprio passato e di far partire la narrazione di sé dal momento di ingresso nel paese di accoglienza.

4. Identità e narrazione

La ricostruzione di un senso di sé unitario e coerente richiede un processo riflessivo, che consenta di integrare i differenti aspetti della propria storia passata e presente con i progetti futuri. Tale compito risulta particolarmente rilevante durante la fase adolescenziale, benché l’identità si mantenga nel tempo mutevole e si trasformi costantemente nel corso della storia individuale. Questo processo trasformativo richiede la capacità di ricostruire costantemente un senso di continuità che dia significato alla propria esperienza e coerenza nonostante i cambiamenti, consentendo di poter dire in ogni momento: “Sono sempre io”. Il costituirsi di un senso di identità comporta la costruzione di una auto-biografia in grado di coordinare la stabilità ed il mutamento, affinché la propria vita non appaia né troppo caotica né troppo scontata.

La narrazione rappresenta un importante strumento di conoscenza e di co-struzione del Sé (Smorti, 1994). Essa è indispensabile affinché la memoria di sé possa costruirsi e raccontarsi.

La capacità di narrare è una costante umana (Bruner, 1987) e, come osserva Barthes (1969), è “trans-storica e trans-culturale” (p. 7). Bruner (1990) parla di tendenza genetica a comunicare attraverso la narrazione di storie e distingue accanto al pensiero scientifico o paradigmatico quello che egli definì pensiero narrativo, al quale, comunemente, è affidato il compito di organizzare l’esperienza umana (Bartoli, 2003).

Bateson (1979) afferma che l’uomo pensa per storie e che due individui sono in relazione nel momento che condivido, entrano a far parte di una stessa narrazione. La narrazione rappresenta, dunque, una produzione di significato, che acquista un senso solo all’interno di una relazione.
L’approccio narrativo (Bruner, 1990) e il writing paradigm (Pennebaker, 2004; Alparone, 2002) evidenziano l’esistenza di un rapporto positivo tra la narrazione e il benessere soggettivo (Gilli, 2003). Si ritiene che la narrazione costituisca una via di espressione della tensione emotiva (Levorato, 1988), permetta di riflettere e riorganizzare gli eventi della propria vita (Di Blasio, 2001) e rappresenti uno strumento di conoscenza e di costruzione del Sè (Smorti, 1997).

Rispetto alle forme di espressione non verbale la narrazione consente un passaggio dall’emotivo al cognitivo e favorisce la ricostruzione di significato. Il ricorrere alla narrazione per esprimere quanto accaduto permette di cambiare il ricordo stesso, dando ad esso un senso, rendendolo dominabile cognitivamente (Gilli, 2003). Pennebaker (2004) ritiene che l’effetto benefico della narrazione sia dovuto al fatto che le persone sono costrette a fermarsi a pensare.

Cyrulink (2002) considera la narrazione come un potenziale tutore di resilienza: il semplice fatto di dover scegliere le parole per raccontare un trauma, significa darne una interpretazione; ciò consente di prendere le distanze ed iniziare a governare l’emozione dolorosa. La narrazione permette di tornare padroni del proprio destino. Il racconto reintroduce la temporalità nella rappresentazione, trasformando la reviviscenza in richiamo mestico volontario. Considerando, inoltre, che le parole utilizzate in una determinata cultura per esprimere le emozioni “fanno” l’esperienza emotiva (D’Urso e Trentin, 1998), lavorare sulla dimensione narrativa può aiutare a trovare parole nuove in grado di rendere mentalmente gestibile ciò che si prova e dare ad esso un nuovo significato.
Nella maggior parte dei casi i bambini, così come i ragazzi, avvertono il bisogno di raccontare; perché ciò possa avvenire necessitano di qualcuno in grado di ascoltare (Cyrulink, 2002). L’effetto della rappresentazione del trauma è in funzione della reazione del contesto sociale.

Gli adolescenti stranieri, così come gli italiani, potrebbero trarre vantaggio dalla possibilità di fermarsi a ricostruire narrativamente la propria esperienza. È l’adulto, tuttavia, che deve creare uno spazio mentale e relazionale affinché la narrazione diventi possibile e legittima, garantendo rispetto ed attenzione.

L’utilizzo della narrazione nel lavoro con gli adolescenti immigrati, opportunamente adattata alle competenze linguistiche di questi ultimi, permette, inoltre, agli stessi adulti che si relazionano con loro di comprenderne il modo di pensare e vivere le esperienze di vita, valorizzandone lo specifico punto di vista. Una storia narrata, infatti, rispecchia la mente di chi l’ha prodotta, ma anche la concezione del mondo condivisa dal gruppo sociale a cui questi appartiene (Anolli, 2004; Bruner, 1998).

5. La ricerca: narrazioni di adolescenti italiani ed immigrati

Scopo del presente studio è di esaminare come gli adolescenti immigrati di prima generazione riescano a narrare la propria storia, integrando le proprie origini in un senso di sé unitario e in che modo le loro narrazioni differiscano da quelle di adolescenti italiani, comunque impegnati in un processo di ridefinizione del Sé.
Si intende, inoltre, verificare la prevalenza di strategie narrative in grado di creare coerenza e continuità, oppure la presenza di salti logici e contraddizioni, in funzione di caratteristiche strutturali e dalla storia specifica in quanto migranti, nonché le eventuali differenze/analogie con le strategie utilizzate dagli adolescenti italiani.

5.1 Ipotesi

L’ipotesi che guida questo lavoro è che i ragazzi stranieri che hanno vissuto la prima infanzia nella terra d’origine incontrino durante l’adolescenza maggiori difficoltà rispetto ai coetanei italiani nel creare una narrazione unitaria di sé, accompagnata dal conflitto tra la propria cultura e quella del nuovo paese.

In particolare si ipotizza che:

le narrazioni dei ragazzi immigrati di prima generazione presentino un maggior numero di punti di svolta (Burke, 1945) ed una minor capacità di auto-riflessione rispetto agli adolescenti italiani;
esistano differenze significative nell’utilizzo di Indicatori del Sé (Bruner, 1995) e nei Punti di Svolta in base al sesso, l’età, la scolarità, la posizione nella fratria e la situazione abitativa attuale;
esista un legame di reciproca influenza tra Indicatori del Sé e Punti di Svolta (Groppo et al, 1999), ossia la presenza di una coerenza tra lo stato del sé prevalentemente utilizzato nella narrazione di momenti di passaggio e rottura e lo stato del sé più frequentemente utilizzato nella ricostruzione auto-biografica della propria storia.

5.2 Metodo

Soggetti
Lo studio ha coinvolto 50 ragazzi tra i 14 e i 21 anni suddivisi in due sottocampioni omogenei: un gruppo di 25 adolescenti immigrati di prima generazione ed un gruppo di controllo di 25 adolescenti italiani.

All’interno di ciascun sotto-campione sono presenti 13 maschi e 12 femmine. Nel campione totale 18 soggetti hanno un’età compresa tra i 14 e i 15 anni, 15 tra i 16 e i 17 anni. Sono presenti rispettivamente 9 e 8 soggetti di 18/19 anni e 20/21 anni. All’interno di ciascuna fascia di età i soggetti sono omogeneamente distribuiti tra i due sotto-campioni ed in base al sesso (grafico 1).

Grafico 1 – Composizione campione

I ragazzi intervistati presentano profili scolastici medio-bassi (tabella 1). Lo sbilanciamento nel sotto-campione di ragazzi stranieri verso le scuole medie è dovuto al fatto che, a parità di età, i ragazzi immigrati hanno ritardato l’ingresso nel contesto scolastico in seguito all’arrivo in Italia.

Per quanto riguarda il gruppo di ragazzi stranieri il 28% di essi proviene dall’Albania, il 24% dalle Filippine, l’8% dal Perù, il 28% dal Marocco e il 12% dalle regioni dell’Africa Sub-sahariana. Per ogni nazionalità i soggetti sono omogeneamente distribuiti in base al sesso. Sulla base della differente storia migratoria legata alle specifiche esperienze vissute nei differenti contesti culturali e in relazione a quanto messo in evidenza dalla Psicologia Culturale (Smorti, 2003), il contesto di provenienza è una variabile in grado di influenzare il comportamento, il pensiero, le modalità relazioni e le narrazioni di questi ragazzi. In questa ricerca, tuttavia, ci siamo prefissati di effettuare una prima indagine che permettesse di verificare eventuali differenze nel processo di ricostruzione narrativa del sé da parte di soggetti italiani, caratterizzati da una storia di stabilità relazionale ed abitativa e ragazzi che al contrario hanno vissuto sulla propria pelle l’esperienza migratoria. Ci riserviamo di analizzare in future indagini l’influenza della specifica provenienza culturale.

Tabella 1 – Scuola-lavoro

Stranieri Italiani Totale
Medie 12 24% 2 4% 14 28%
Corso prof. 3 6% 6 12% 9 18%
Itis 3 6% 5 10% 8 16%
Liceo 3 6% 9 18% 12 24%
Università 1 2% 1 2% 4 8%
Lavoro 3 6% 3 6% 3 6%
Totale 25 50% 25 50% 50 100%

L’80% dei ragazzi stranieri è in Italia da meno di quattro anni (tabella 2), il 44% di essi vive in famiglia, mentre un’analoga percentuale è ospite di comunità per minori. Un solo soggetto vive da solo e altri due sono ospiti in comunità con la madre.

Il 52% di essi è giunto in Italia da solo, mentre rispettivamente il 32% ed il 16% sono arrivati con entrambi i genitori o con uno di essi.

Tabella 2 – Ragazzi stranieri: anni in Italia

Maschi Femmine Totale
Meno di 1 anno 0 0% 2 8% 2 8%
Da 1 a 4 anni 11 44% 9 36% 20 80%
Da 5 a 9 anni 2 8% 1 4% 3 12%
Da 10 a 15 anni 0 0% 0 0% 0 0%
Totale 13 52% 12 48% 25 100%

Strumenti

I dati sono stati raccolti attraverso un’intervista narrativa. Ad ogni soggetto è stato chiesto di narrare liberamente la storia della propria vita, a partire dalla consegna: “Prova a farmi capire chi sei tu. Come ti presenteresti e cosa racconteresti di te se volessi far capire come sei fatto? Prova a raccontarmi la tua storia, partendo da dove vuoi tu e scegliendo tu le cose che per te sono importanti per farti conoscere”. Le interviste sono state svolte tutte in italiano, senza che fosse necessario l’affiancamento di traduttori o mediatori culturali.

Le narrazioni sono state audio-registrate e successivamente trascritte.

Sui testi è stata effettuata un’analisi del contenuto attraverso il sistema degli Indicatori del Sé e dei Punti di Svolta (Bruner,1995).

Tale sistema è stato scelto poiché permette di effettuare un’analisi del testo, prescindendo dalle capacità verbali e linguistiche dei ragazzi. Esso presuppone che in ogni narrazione, soprattutto quelle auto-biografiche, sia possibile inferire lo stato del sé prevalente nel soggetto attraverso l’analisi di particolari espressioni linguistiche. Gli individui raccontano la loro storia di vita utilizzando espressioni verbali indicanti, per esempio, la presenza di un sé attivo (indicatori di azione), di un Sé più riflessivo (indicatori di riflessività), di un Sé emotivo o qualitativo (indicatori qualia); possono eventualmente prevale riferimenti al concetto di dovere o impegno (indicatori di impegno), al contesto di riferimento (indicatori di riferimento sociale) o alla propria collocazione spazio-temporale (indicatori di localizzazione); è possibile, infine, che si evidenzi la tendenza a valutare gli eventi in base alle proprie aspettative (indicatori di valutazione) oppure interpretando gli eventi in termini di coerenza e continuità (indicatori di coerenza) o di risorse interne od esterne disponibili (indicatori di risorse).

Bruner (1995) ritiene, inoltre, che in ogni resoconto auto-biografico vi siano dei “punti di rottura”, che mettono in evidenza momenti di passaggio e cambiamento che creano nel soggetto squilibrio (Burke, 1945).

Procedura

L’individuazione del campione ha previsto in una prima fase il reperimento dei ragazzi immigrati. Ci siamo rivolti alle comunità di accoglienza e ai servizi rivolti agli stranieri attivi nella città di Milano e Provincia, chiedendo la disponibilità ad effettuare interviste audio-registrate con adolescenti di prima immigrazione con età compresa tra i 14 e i 21 anni. Il filtro operato de queste strutture ha consentito di effettuare un campionamento attraverso la tecnica snow ball. I ragazzi che si sono dichiarati disponibili, previo consenso degli operatori delle comunità o dei genitori, sono stati incontrati presso la struttura di accoglienza o la loro abitazione, secondo orari e modalità che rispettassero le esigenze degli intervistati stessi.

A tutti i ragazzi è stato spiegato lo scopo della ricerca ed è stato chiesto loro di firmare un consenso informato, attraverso il quale si garantiva ad essi l’anonimato ed il rispetto della privacy, secondo le normative vigenti. A tutti è stato chiesto di poter audio-registrare l’intervista. Nessuno si è rifiutato. Prima di iniziare l’intervistatore ha creato un clima di accoglienza e di ascolto empatico. Solo in un secondo momento si è proceduto all’intervista. È stato precisato che potevano scegliere il punto da cui far partire la narrazione e quali aspetti di sé raccontare.

L’intervista, semi-strutturata, è stata condotta con modalità narrative. L’intervistatore non poneva domande invasive, seguiva il flusso del discorso del ragazzo, ribadendo la sua libertà di non rispondere ad eventuali domande che gli fossero parse troppo invadenti o collegate ad eventi dolorosi da ricordare. Tutte le interviste sono state realizzate in lingua italiana, utilizzando un linguaggio il più possibile semplice. Di fronte alle difficoltà iniziali, l’intervistatore riconosceva la complessità del compito ed assumeva un atteggiamento di incoraggiamento e facilitante.

È stato, quindi, costituito il campione di controllo composto da ragazzi italiani, che presentassero caratteristiche omogenee per sesso, età, scolarità con il sotto-campione straniero. I ragazzi italiani sono stati reperiti a partire da una rete di conoscenze attivata a partire dai ricercatori.

Le modalità dell’intervista è stata analoga a quella utilizzata per gli adolescenti immigrati.

Al termine dell’intervista è stata compilata per ogni soggetto una scheda anagrafica volta a raccogliere i dati strutturali.

Analisi ed affidabilità

Le interviste trascritte fedelmente sono state sottoposte ad un analisi del contenuto attraverso il sistema degli Indicatori del Sé e dei Punti di svolta da parte di due giudici indipendenti.

È stato calcolato l’accodo inter-giudici sulle codifiche effettuate attraverso il K di Cohen, che ha evidenziato un’affidabilità pari a .95.

Sui dati così raccolti è stata effettuata un’analisi descrittiva sulle modalità narrative prevalentemente utilizzate e sul numero di punti di svolta emersi. È stata, inoltre, effettuata l’analisi della varianza rispetto al sotto-campione ed alle caratteristiche strutturali dei soggetti, prese in considerazione come variabili indipendenti. Le analisi sono state effettuate attraverso il supporto del pacchetto statistico SPSS.

5.3 Risultati

Punti di Svolta e Indicatori del Sé

Tutti i ragazzi hanno partecipato con piacere all’intervista. Superato l’ostacolo iniziale, hanno utilizzato positivamente lo spazio a loro disposizione, mostrando la propria sorpresa di fronte al fatto che degli adulti potessero essere interessati alla loro storia, anche precedente all’arrivo in Italia, e rispondendo con gratitudine alla disponibilità mostrata nei loro confronti.

Dall’analisi descrittiva è emerso che le narrazioni del campione totale sono composte in media da 1161, 56 parole. È presente, tuttavia, una notevole dispersione dei dati (d.s.=530.991): il numero di parole per narrazione va da un minimo di 202 ad un massimo di 3690.

Le narrazioni dei ragazzi stranieri risultano composte in media da 1084,44 parole (d.s.= 671.611), mentre gli italiani utilizzano in media 1238,68 (d.s.=334.961).

Per quanto riguarda i punti di rottura presenti nelle narrazioni, per il campione totale si riscontrano in media 7,70 Punti di Svolta (d.s.=3.808); è significativo sottolineare che in ogni narrazione è presente almeno un Punto di Svolta fino ad un massimo di 18.

È emerso, inoltre, un numero medio più alto di Punti di Svolta nel sotto-campione dei ragazzi stranieri, pari a 9,08 (d.s.=3.904) contro una media di 6,32 per gli italiani (d.s=3.224). Nel primo sottogruppo, in particolare, i punti di rottura vanno da un minimo di 4 ad un massimo di 18, mentre tra i ragazzi italiani si va da un minimo di 1 ad un massimo di 14. Riportiamo in tabella 3 alcuni esempi di Punti di Svolta presenti nelle narrazione degli adolescenti intervistati.

Tabella 3 – Esempi punti di svolta

“Devo dire che in certi aspetti ero più maturo di adesso, ho più paura di alcune cose, invece, allora ero uno che mi buttavo su tutto, non avevo paura di niente” (maschio, 18/19 anni, albanese);
“…Non è che ero bravo a studiare, non ci andavo a scuola e venendo qua ho cominciato a studiare, sono cambiato studiando” (maschio, 14/15 anni, marocchino);
“Mi sento diverso rispetto a prima, mi sento più maturo, più adulto” (maschio, 14/15 anni, italiano);
“Ora sono molto sicura di me, mentre prima ero molto timida e non riuscivo a parlare” (femmina, 14/15, italiana).

Per quanto riguarda l’utilizzo di Indicatori di Sé (tabella 4), nelle espressioni relative ai Punti di Svolta gli stranieri (grafico 2) utilizzano in prevalenza indicatori di riferimento sociale (media = 8.04, d.s. = 5.755), seguiti da indicatori relativi alla collocazione spazio-temporale (media = 6.60, d.s. = 2.363). I meno utilizzati risultano essere gli indicatori di impegno (media = .88, d.s. = 1.201) e le espressioni rilevanti un sé coerente (media = .08, d.s. = .400).

Gli indicatori del Sé più utilizzati dagli adolescenti italiani (grafico 2) nelle espressioni relative ai punti di rottura riflettono la prevalenza di un sé sociale (media = 6.80, d.s. = 4.272) e riflessivo (media = 6.28, d.s. = 5.451). Come per gli stranieri, sono scarsamente utilizzati gli indicatori di impegno (media =.60, d.s. = 1.354) e di coerenza (media =.12, d.s. = .332).

Grafico 2 – Medie Indicatori del Sé nei Punti di Svolta

L’indicatore di riferimento sociale è il più utilizzato dagli stranieri (Grafico 3) anche nel testo al di fuori dei Punti di Svolta (media = 10.28, d.s. = 7.203), seguito da espressioni indicanti un sé attivo (media = 7.00, d.s. = 4.813).

Le narrazioni degli italiani al di fuori dei Punti di Svolta (grafico 3) mostrano una prevalenza di indicatori di riflessività (media = 13.80, d.s.= 8.021) e di riferimento sociale (media = 13.12, d.s. = 6.772).

Italiani ed immigrati (grafico 3) evidenziano uno scarso senso di coerenza (media = .30, d.s. = .735) anche nel testo narrativo al di fuori dei punti di rottura.

Grafico 3 – Medie indicatori del Sé nel testo al di fuori dei punti di svolta

Tabella 4 – Esempi Indicatori del Sè

Indicatori del Sé nei Punti di Svolta
“Dopo siamo diventati amici, abbiamo scambiato i numeri” (riferimento sociale, straniero)
“Sono nato l’11 Febbraio dell’88, ho 16 anni, 16 anni e mezzo, vengo da Albania, sono venuto qua che avevo 12 anni, son qui da 4 anni” (localizzazione straniero);
“In prima ho conosciuto quelli che adesso sono i miei amici storici” (riferimento sociale italiano);
“Ho imparato a riflettere molto anche su me stessa” (riflessività, italiano).
Indicatori del Sé nel testo
“Ho tanti amici a scuola e anche al centro” (riferimento sociale, straniero);
“Cerco di fare il mio dovere, cioè, studiare, fare i compiti” (impegno straniero);
“Con i miei familiari ho un buon rapporto” (riferimento sociale italiano);
“Credo di essere un po’ testarda” (riflessività, italiano).

Differenze tra ragazzi italiani e stranieri

L’analisi descrittiva ha messo in evidenza alcuni fondamentali punti in comuni nelle narrazione degli adolescenti italiani e nei ragazzi immigrati: la presenza di numerosi punti di rottura nella propria storia, lo scarso uso di indicatori di coerenza e di impegno, l’importanza della dimensione sociale nella ricostruzione narrativa del sé.

I dati rilevati, tuttavia, lasciano ipotizzare la presenza di differenze significative tra i due sotto-campioni nelle modalità utilizzate nell’elaborare le vicende della propria vita.

Per confermare questa impressione è stata effettuata l’analisi della varianza (t-test) tra i due sotto-campioni.

Il primo risultato che ha colpito la nostra attenzione, poiché contrario a quanto atteso, è stata l’assenza di una differenza significativa nel numero di parole utilizzate nelle narrazioni di italiani e stranieri. Nonostante le maggiori difficoltà linguistiche, essi si attivano di fronte alla richiesta di raccontarsi e arricchiscono il loro racconto di particolari e di eventi, mostrando il bisogno di rielaborare e mettere ordine nella propria storia e, soprattutto, di essere ascoltati.

L’analisi della varianza (tabella 5) ha, invece, come atteso, messo in evidenza la presenza di un numero di Punti di Svolta significativamente maggiore nelle narrazioni degli stranieri (t = 2.726, p = .009).

Gli adolescenti immigrati utilizzano, inoltre, in modo significativamente maggiore rispetto agli italiani gli indicatori di localizzazione sia nelle espressioni relative ai Punti di Svolta (t = 5.821, p = .000) sia nelle narrazioni nella loro globalità (t = 4.591, p = .000), mentre gli adolescenti italiani utilizzano in modo significativamente maggiore rispetto agli stranieri gli indicatori di riflessività sia nelle espressioni contenenti punti di rottura (t = – 2.111, p = .040) sia nel testo narrativo complessivo (t = – 4.083, p = .000).

Tabella 5 – Analisi della varianza tra stranieri e italiani (t-test)

Media stranieri Media italiani t p
Punti di svolta 9.08 6.32 2.726 .009
Localizzazione (punti svolta) 6.60 2.92 5.821 .000
Riflessività 6.00 13.80 -.4083 .000
Localizzazione 5.80 2.52 4.591 .000
Risorse 2.12 .92 2.380 .021
Riflessività (punti svolta) 3.60 6.28 -2.111 .040

Narrazione di sé e caratteristiche strutturali

Abbiamo esaminato l’influenza delle variabili strutturali degli adolescenti intervistati sulle modalità utilizzate per ricostruire un senso di unitarietà del sé e per attribuire un significato alle esperienze vissute.

All’interno del sotto-campione degli immigrati, l’analisi della varianza (t-test) ha messo in evidenza un uso significativamente maggiore di espressioni relative a stati d’animo ed emotività (qualia) nelle femmine rispetto ai maschi (t = -2.091, p = .048), mentre non sono emerse differenze significative tra maschi e femmine nelle narrazioni dei ragazzi italiani, contrariamente a quanto riportato dalla letteratura di settore (Davis, 1991; Friedman, Pines, 1991).

Nel sotto-campione degli immigrati si riscontra la presenza di un numero significativamente maggiore di Punti di Svolta tra i ragazzi più grandi (F = 5.034, p = .009) e tra i lavoratori e gli universitari (F = 5.614, p = .002). Ancora tra gli stranieri, i figli unici e i figli minori utilizzano in modo significativamente maggiore gli indicatori qualia (F = 3.336, p = .039).

L’indicatore di azione è utilizzato in modo significativamente maggiore (sia nei Punti di Svolta sia nel testo complessivo) dagli immigrati che vivono in comunità (F = 8.236, p = .001), che sono venuti in Italia senza i genitori (F = 7.324, p = .002) e da coloro che sono in Italia da più tempo (F = 6.268, p = .007).

Gli immigrati che sono in Italia da un tempo minore (F = 6.285, p = .007) e che sono giunti senza i propri genitori (F = 3.082, p = .050) fanno riferimento in modo significativamente maggiore alle risorse disponibili.

Tra gli italiani si riscontra, infine, un uso significativamente maggiore di riferimenti sociali all’interno dei Punti di Svolta da parte dei ragazzi più grandi (F = 3.391, p = .037) mentre i figli unici usano in modo significativamente più consistente nel testo narrativo indicatori qualia (F = 4.921, p = .037).

Relazione tra punti di svolta e testo narrativo complessivo

L’ultima fase di analisi dei resoconti auto-biografici era volta a verificare se gli indicatori del sé più frequentemente utilizzati nelle espressioni incanti Punti di Svolta fossero ugualmente prevalenti in tutta la narrazione.

Tabella 6 – Correlazioni indicatori del sé tra punti di svolta e testo

Correlazioni stranieri r p
Sociale (svolta)/sociale .630 .000
Impegno (svolta)/impegno .444 .026
Correlazioni italiani r p
Riflessività(svolta)/riflessività .646 .000
Impegno (svolta)/impegno .489 .013
Risorse (svolta)/risorse .460 .021

Contrariamente a quanto riportato in letteratura (Groppo et al, 1999) si è riscontrata una correlazione significativa tra gli Indicatori del Sé utilizzati nei Punti di Svolta e nella narrazione complessiva solo relativamente alla dimensione sociale e di impegno nel sotto-campione di stranieri e relativamente alla dimensione di riflessività, impegno e risorse nel gruppo di adolescenti italiani (tabella 6).

5.4 Conclusioni

Lo scarso uso di indicatori di coerenza nel campione complessivo e la presenza di almeno un punto di svolta in ogni narrazione confermano la difficoltà nel creare un senso di Sé unitario tipica dell’adolescenza in generale. I risultati emersi confermano, tuttavia, l’ipotesi che l’esperienza migratoria determini una maggiore difficoltà da parte degli adolescenti nel trovare un’adeguata integrazione alle proprie esperienze; ciò si riflette spesso in un senso di sé frammentato ed incoerente.

Risulta confermata, inoltre, l’ipotesi secondo cui gli immigrati presentino una minor tendenza alla riflessione, accompagnata da una maggior focalizzazione sulle dimensioni concrete e spazio-temporali dell’esperienza. Ciò può essere in parte determinato da differenze culturali, ossia ad una maggior tendenza delle culture latine e del sud del mondo a privilegiare la dimensione corporea dell’esperienza rispetto all’elaborazione mentale e riflessiva, come viene esplicitato da un adolescente peruviano da noi intervistato: “Come pensare è diverso perché qua si ragiona di più, infatti, nel Perù, nel mio paese c’è più la parte corporea prima, facciamo e basta non ci mettiamo a pensare perché lo facciamo”. Non è da escludere, tuttavia, che lo stato di precarietà in cui vivono spesso gli adolescenti immigrati, i frequenti spostamenti e trasferimenti abitativi, renda la dimensione spaziale particolarmente rilevante nella ricostruzione della propria storia, utilizzandola spesso come criterio di demarcazione e scansione delle differenti fasi di vita.

Italiani e stranieri risultano, invece, accomunati dalla forte prevalenza della dimensione sociale nella costruzione narrativa del Sé. Quest’aspetto risulta mantenere la propria rilevanza nel corso della ricostruzione auto-biografica, nonché nell’elaborazione dei punti di rottura e cambiamento. Ciò sottolinea l’universalità della dimensione relazionale e del ruolo che essa svolge nel processo di costruzione del senso di identità; ma, soprattutto, suggerisce la sensibilità degli adolescenti, italiani e stranieri, alle influenze mediate da aspetti relazionali. Se ciò li può esporre a rischi, d’altra parte evidenzia la possibilità di effettuare un positivo lavoro di rielaborazione con essi, facendo perno sulla loro naturale apertura ed interesse per la dimensione relazionale.

La scarsa correlazione emersa tra gli indicatori del Sé utilizzati nei punti di svolta e nel testo complessivo, suggeriscono la presenza di differenti modalità nel leggere e costruire l’esperienza di Sé nelle fasi di cambiamento, rispetto ai periodi di maggior stabilità.

Questi risultati suggeriscono l’importanza di dare agli adolescenti immigrati la possibilità di rielaborare le proprie esperienze prima di interpretare tutte le loro difficoltà in termini linguistici, di devianza sociale o di espressione psicopatologica. Si evidenzia, altresì, la necessità di tenere conto delle dimensioni prevalentemente utilizzate da italiani e stranieri nella lettura della realtà interna ed esterna per poter instaurare un rapporto positivo e costruttivo con essi.

Conoscere questo quadro d’insieme potrebbe aiutare gli operatori socio-educativi a leggere sotto una luce nuova i problemi scolastici, linguistici e comportamentali manifestati dagli adolescenti stranierie a trovare modi adeguati di porsi nei confronti di ciò che troppo spesso viene interpretato come patologia o devianza. Appare necessario fornire spazi relazionali, di riflessione e rielaborazione della propria specifica esperienza di vita, senza timore di risultare invadenti o ledere al loro precario stato di benessere. Vorremmo concludere osservando che tutti i ragazzi intervistati hanno espresso spontaneamente il vantaggio che si può trarre dal riflettere su di sé, commentando positivamente l’esperienza fatta, letta come un’occasione per fermarsi a mettere ordine nella propria storia e riconoscere i progressi ed i cambiamenti realizzati.


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Note

[1] Il Comitato per i minori stranieri è un organo interministeriale composto da nove rappresentanti. Il Comitato è presieduto dal rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.